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La tutela del marchio non registrato: è possibile?
Quando si parla di marchio, molti pensano subito alla registrazione presso gli Uffici competenti, come la Camera di Commercio o l’EUIPO per il marchio europeo. Ma cosa succede se un marchio non viene registrato? È comunque possibile tutelarlo?
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Cos’è un marchio non registrato?
Un marchio non registrato è un segno (come un nome, un logo o un simbolo) usato per identificare prodotti o servizi di un’azienda, ma che non è stato formalmente registrato presso un ente pubblico.
La tutela del marchio non registrato
In Italia, la legge riconosce una certa tutela anche ai marchi non registrati, ma con alcuni limiti.
Chi usa per primo un marchio “di fatto” può avere il diritto di continuare a utilizzarlo nella zona in cui è conosciuto, soprattutto se il marchio è noto e viene usato in modo continuativo.
Questo significa che se un’altra persona registra lo stesso marchio dopo che è già stato usato da tempo, chi lo ha usato per primo può opporsi all’uso o alla registrazione, almeno per la zona in cui il marchio è conosciuto.
I limiti della tutela
La protezione del marchio non registrato è più limitata rispetto a quella del marchio registrato.
Chi non registra il marchio rischia che altri possano registrarlo e usarlo legalmente in zone diverse da quella in cui era conosciuto in precedenza. Inoltre, la tutela del marchio non registrato è più difficile da far valere in giudizio, perché bisogna dimostrare di averlo usato per primo e di essere conosciuti sul mercato.
Conclusione
In sintesi, anche un marchio non registrato può essere protetto, ma solo entro certi limiti e con più difficoltà rispetto a un marchio registrato. Registrare il marchio rimane la scelta migliore per avere una tutela più forte, chiara e su tutto il territorio nazionale o europeo.

La tutela del minore incapace al compimento della maggiore età
Quando un ragazzo o una ragazza che ha un tutore arriva a 18 anni, cioè alla maggiore età, il sistema di tutela previsto per i minori si interrompe automaticamente. Tuttavia, se la persona non è in grado di gestire da sola i propri interessi per problemi di salute, disabilità o altre difficoltà, la legge prevede alcuni strumenti per continuare a proteggerla anche da adulta.
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Cosa succede al compimento dei 18 anni?
Al raggiungimento della maggiore età, la tutela del minore finisce. Il tutore non ha più potere e il giovane diventa formalmente responsabile di sé stesso.
Tuttavia, se il ragazzo o la ragazza presenta ancora una situazione di incapacità (ad esempio per motivi psichici o fisici), è importante pensare per tempo a una protezione legale per il futuro.
Quali strumenti di protezione esistono per gli adulti incapaci?
Due sono gli strumenti principali:
◦ Amministrazione di sostegno: È una misura flessibile pensata proprio per aiutare adulti che, pur maggiorenni, non sono del tutto autonomi. Può essere richiesta anche prima dei 18 anni, in modo che parta subito dopo il compimento della maggiore età.
◦ Interdizione o inabilitazione: Sono misure più rigide che limitano molto la capacità di agire della persona, ma oggi si usano solo nei casi più gravi.
Come fare per continuare la tutela?
Prima che il minore compia 18 anni, il tutore, i familiari o i servizi sociali possono presentare al giudice un ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno (o, nei casi più gravi, chiedere l’interdizione o l’inabilitazione). Il giudice valuterà la situazione e deciderà la soluzione più adatta.
Conclusione
Quando un minore sotto tutela arriva alla maggiore età ma non è ancora in grado di gestire da solo la propria vita, è importante attivarsi per tempo e chiedere una nuova forma di protezione come l’amministrazione di sostegno. Così si garantisce continuità di assistenza e si tutela il suo benessere anche da adulto.

Ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno: come funziona
L’amministratore di sostegno è una figura prevista dalla legge per aiutare persone che, a causa di malattia, età o disabilità, non riescono a gestire da sole i propri interessi. Se una persona, un familiare o anche i servizi sociali si accorgono che qualcuno ha bisogno di aiuto nella gestione della vita quotidiana o dei suoi beni, possono chiedere al giudice di nominare un amministratore di sostegno.
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Chi può presentare il ricorso?
Il ricorso può essere presentato:
◦ dalla stessa persona che ha bisogno di aiuto,
◦ da un familiare (come un figlio, un genitore, un coniuge, un fratello o una sorella),
◦ da un convivente,
◦ dal tutore o curatore,
◦ dal pubblico ministero
◦ o dai servizi sociali.
Come si fa il ricorso?
Il ricorso si presenta al giudice tutelare del tribunale del luogo dove vive la persona da proteggere.
Nel ricorso bisogna indicare:
◦ le generalità della persona da proteggere,
◦ i motivi per cui si chiede l’amministrazione di sostegno,
◦ la descrizione delle difficoltà o delle condizioni di salute che rendono necessario l’aiuto,
◦ le attività che la persona non riesce a svolgere da sola,
◦ la proposta della persona da nominare come amministratore (può essere un familiare, ma anche un soggetto esterno).
Al ricorso vanno allegati i documenti medici che provano la situazione (ad esempio certificati o relazioni sanitarie).
Cosa succede dopo il ricorso?
Il giudice fissa un’udienza, ascolta la persona interessata, i familiari e valuta la documentazione. Può anche chiedere una consulenza medica.
Se ritiene che ci siano i presupposti, nomina con decreto l’amministratore di sostegno e stabilisce quali atti potrà compiere per conto della persona protetta.
Conclusione
Il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno è uno strumento importante per garantire assistenza e tutela a chi non è in grado di provvedere da solo ai propri interessi. La procedura è semplice e può essere attivata da chiunque abbia a cuore il benessere della persona fragile.

Decadenza e nullità del marchio: quando si rischia di perdere la protezione
Registrare un marchio offre protezione e vantaggi, ma questa tutela non è automatica e può andare persa in alcuni casi. È importante conoscere le situazioni in cui un marchio può decadere o essere dichiarato nullo, per evitare brutte sorprese.
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Quando si perde la protezione del marchio?
Ci sono due principali motivi per cui si può perdere la protezione di un marchio: la decadenza e la nullità.
1. Decadenza del marchio
La decadenza avviene quando il titolare perde il diritto di usare il marchio per alcune cause, tra cui:
◦ Mancato uso: se il marchio registrato non viene usato per almeno cinque anni consecutivi, chiunque può chiedere che venga “cancellato” per decadenza.
◦ Diventare generico: se il marchio diventa il nome comune di un prodotto (es. “scotch” per il nastro adesivo), perde la sua funzione distintiva.
◦ Uso ingannevole: se il marchio viene usato in modo da ingannare il pubblico sull’origine, la qualità o la natura dei prodotti.
2. Nullità del marchio
La nullità si verifica quando il marchio non avrebbe dovuto essere registrato fin dall’inizio, ad esempio:
◦ Mancanza di requisiti: se il marchio è privo di capacità distintiva, è descrittivo o è contrario alla legge, può essere dichiarato nullo.
◦ Conflitto con marchi anteriori: se viola diritti di terzi, come marchi già registrati, il titolare può perdere la protezione.
Come prevenire la decadenza e la nullità?
◦ Usare il marchio in modo effettivo e continuo per i prodotti/servizi registrati.
◦ Evitare che il marchio diventi un termine generico, usando sempre il simbolo ® e informando il pubblico che è un marchio registrato.
◦ Scegliere un marchio originale e distintivo, evitando nomi troppo generici o descrittivi.
◦ Verificare prima della registrazione che non esistano marchi simili o identici già registrati.
Conclusione
La protezione di un marchio non è definitiva: si rischia di perderla per mancato uso, uso scorretto o errori nella registrazione. Prevenire questi rischi con attenzione e controlli regolari aiuta a mantenere sicuro e valido il proprio marchio nel tempo.

Il valore commerciale dei marchi e dei brevetti: come sfruttarli con licenze, cessioni e franchising
Marchi e brevetti non sono solo strumenti di protezione, ma possono diventare veri e propri “beni” che generano valore economico per le aziende e gli inventori.
Vediamo come è possibile sfruttare commercialmente questi diritti attraverso licenze, cessioni e franchising.
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Cosa significa “valore commerciale” di marchi e brevetti?
Un marchio famoso o un’invenzione innovativa possono aumentare il valore di un’azienda, attirare clienti e distinguersi dalla concorrenza.
Proprio per questo, marchi e brevetti possono essere ceduti o “affittati” ad altri soggetti in cambio di un guadagno.
Le principali forme di sfruttamento
economico
◦ Licenza
Con la licenza, il titolare del marchio o del brevetto permette a un’altra persona o azienda di usare il proprio diritto in cambio di un compenso (royalty).
La licenza può essere esclusiva (solo una persona può usare il diritto) o non esclusiva (possono usarlo più soggetti contemporaneamente).
◦ Cessione
La cessione è la vendita definitiva del marchio o del brevetto a un altro soggetto.
Chi cede perde ogni diritto e chi acquista diventa il nuovo titolare a tutti gli effetti.
◦ Franchising
Nel franchising, il titolare del marchio concede ad altri (i “franchisee”) il diritto di usare il marchio e un intero modello commerciale (come arredi, prodotti e servizi) dietro pagamento di una quota iniziale e/o di royalty periodiche.
I contratti tipici
Tutte queste operazioni devono essere regolate da contratti scritti, in cui si specificano:
◦ la durata dell’accordo
◦ i diritti e gli obblighi delle parti
◦ il compenso
◦ le condizioni di utilizzo del marchio o del brevetto
◦ eventuali limiti territoriali o merceologici
Conclusione
Marchi e brevetti sono strumenti preziosi: oltre a proteggere, possono generare guadagni attraverso licenze, cessioni e franchising. Per sfruttarli al meglio, è importante usare contratti chiari e affidarsi a professionisti esperti, così da valorizzare i propri diritti senza rischi.

La tutela dei segreti industriali e del know-how rispetto ai brevetti: scegliere la strategia giusta
Quando un’azienda sviluppa una nuova idea, tecnologia o processo produttivo, si trova di fronte a una scelta importante: brevettare l’invenzione oppure mantenerla segreta, proteggendola come “segreto industriale” o know-how. Vediamo le differenze, i vantaggi e i rischi di ciascuna soluzione.
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Cos’è un segreto industriale o know-how?
Il segreto industriale è un’informazione riservata, come una formula, una tecnica o un metodo produttivo, che dà valore all’azienda e non è conosciuta dal pubblico. Il know-how è il complesso di conoscenze tecniche e pratiche sviluppate in azienda.
Quando conviene brevettare?
◦ Vantaggi:
Il brevetto offre una protezione legale esclusiva per un periodo limitato (in genere 20 anni). Chi brevetta può impedire ad altri di usare, produrre o vendere l’invenzione, anche se l’hanno scoperta indipendentemente.
◦ Quando conviene:
Brevettare conviene quando l’invenzione può essere facilmente “copiata” o scoperta analizzando il prodotto finito, oppure quando si vuole valorizzare l’invenzione con licenze o cessioni.
È utile anche quando si vuole avere un titolo formale da usare contro eventuali copiatori.
Quando conviene mantenere il segreto?
◦ Vantaggi:
La protezione dura finché il segreto resta tale (potenzialmente per sempre). Non ci sono costi di registrazione.
◦ Quando conviene:
Mantenere il segreto conviene se l’invenzione non è facilmente individuabile o riproducibile da terzi (es. una formula segreta di un alimento) e se l’azienda è in grado di controllare la riservatezza delle informazioni.
◦ Esempio:
La ricetta della Coca-Cola è un famoso caso di segreto industriale mantenuto per oltre un secolo.
Aspetti pratici e rischi
◦ Brevettare:
Una volta pubblicato il brevetto, l’invenzione diventa nota a tutti. Alla scadenza della protezione, chiunque può usarla.
Brevettare comporta anche costi e procedure da seguire.
◦ Mantenere il segreto:
Il rischio principale è che il segreto venga scoperto o divulgato da dipendenti o concorrenti. Se qualcuno arriva alla stessa soluzione in modo autonomo, potrà usarla liberamente.
È importante adottare misure di sicurezza (accordi di riservatezza, limitare l’accesso alle informazioni, ecc.).
Conclusione
La scelta tra brevetto e segreto industriale dipende dal tipo di invenzione e dagli obiettivi aziendali. Brevettare è consigliato se si teme la copia o si vuole valorizzare l’invenzione sul mercato; mantenere il segreto è preferibile se si può garantire la riservatezza a lungo termine. In ogni caso, è utile valutare attentamente rischi e vantaggi, magari chiedendo consiglio a un esperto.

Esecuzione del preliminare di acquisto o diritto al doppio della caparra: cosa succede se una parte si tira indietro
Quando si compra o si vende una casa, spesso si firma prima un “preliminare di acquisto” (compromesso), nel quale le parti si impegnano a concludere la compravendita definitiva entro una certa data e a determinate condizioni. In questa fase, normalmente l’acquirente versa una caparra al venditore.
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Cosa succede se una parte non rispetta il preliminare?
Se una delle due parti decide di non rispettare gli impegni presi nel preliminare senza un valido motivo, l’altra parte ha due possibilità:
◦ Chiedere l’esecuzione del contratto
Chi vuole davvero concludere l’acquisto (o la vendita) può rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza che obblighi l’altra parte a rispettare gli accordi. In pratica, il giudice può ordinare, ad esempio, al venditore di vendere la casa oppure all’acquirente di pagarla secondo quanto stabilito.
◦ Chiedere il doppio della caparra
Se non si vuole più concludere il contratto, la parte che ha rispettato gli accordi può chiedere una compensazione economica. Se è l’acquirente ad essere stato danneggiato (cioè il venditore si tira indietro), può chiedere il doppio della caparra già versata. Se invece è l’acquirente a non rispettare il preliminare, il venditore trattiene la caparra ricevuta.
Esempio pratico
◦ Se Mario vuole comprare la casa di Anna e versa una caparra di 10.000 euro, ma Anna poi non vuole più vendere, Mario può chiedere ad Anna 20.000 euro (cioè il doppio della caparra).
◦ Se invece è Mario a non voler più comprare, Anna può trattenere i 10.000 euro ricevuti.
Conclusione
Il preliminare di acquisto e la caparra servono a tutelare entrambe le parti. Se qualcuno non rispetta gli accordi, l’altra parte può scegliere se chiedere l’esecuzione del contratto oppure il pagamento (o la restituzione) del doppio della caparra, secondo le regole previste dalla legge. Prima di firmare, è bene conoscere questi meccanismi per sapere come comportarsi in caso di problemi.

La coesistenza di marchi simili: limiti, convivenza e accordi
Quando due marchi sono molto simili tra loro, possono nascere problemi soprattutto se vengono usati per prodotti o servizi dello stesso tipo. La legge cerca di evitare che i consumatori si confondano, ma non sempre è facile stabilire chi ha più diritto a usare un certo marchio.
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Cosa succede se ci sono marchi simili?
Se due aziende usano marchi simili, può nascere un conflitto. Di solito, chi ha registrato per primo il marchio o chi lo usa da più tempo ha il diritto di continuare a utilizzarlo. Tuttavia, se i marchi somigliano troppo e riguardano prodotti simili, il titolare del marchio più “anziano” può opporsi all’uso del marchio successivo.
Limiti e rischi
La legge stabilisce che non si possono registrare (o usare) marchi troppo simili a quelli già esistenti, soprattutto se possono confondere il pubblico. Se il conflitto non si risolve, si può arrivare in tribunale, dove un giudice decide se c’è rischio di confusione e chi deve smettere di usare il marchio.
Soluzioni possibili: la convivenza e gli accordi
A volte, però, è possibile trovare un accordo senza ricorrere al giudice. Le due parti possono firmare un “accordo di coesistenza”, in cui stabiliscono che ognuna può continuare a usare il proprio marchio, magari fissando dei limiti:
◦ zone geografiche diverse
◦ tipi di prodotti diversi
◦ modi diversi di presentazione del marchio
Questi accordi aiutano a evitare liti, chiarire i diritti di ciascuno e proseguire l’attività senza rischi.
Conclusione
Se due marchi sono simili, è importante muoversi con attenzione per evitare conflitti legali. La soluzione migliore spesso è l’accordo di coesistenza, che permette a entrambe le parti di lavorare serenamente, rispettando alcuni limiti. In caso di dubbi, conviene sempre chiedere consiglio a un esperto prima di iniziare a usare o registrare un marchio simile a uno già esistente.

Contraffazione di marchi e brevetti: cosa fare e come difendersi
La contraffazione di marchi e brevetti è un problema serio che può danneggiare aziende e inventori. Succede quando qualcuno copia o usa senza permesso un marchio o un’invenzione protetta da brevetto, traendo vantaggio dal lavoro altrui.
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Cosa si intende per contraffazione?
La contraffazione di un marchio avviene quando un altro soggetto utilizza un nome, un logo o un simbolo troppo simile a quello già registrato, creando confusione tra i consumatori.
La contraffazione di un brevetto avviene quando qualcuno produce, vende o utilizza un’invenzione brevettata senza autorizzazione.
Come accorgersi della contraffazione?
Segnali di contraffazione possono essere l’apparizione di prodotti simili ai propri sul mercato, magari a un prezzo molto più basso, o la presenza di marchi simili su siti internet e negozi.
Anche clienti o fornitori possono segnalare casi sospetti.
Cosa fare in caso di contraffazione?
◦ Raccogliere prove
Conservare tutti i documenti, foto, fatture e segnalazioni che dimostrano la copia o l’uso non autorizzato.
◦ Contattare un esperto
Rivolgersi subito a un avvocato specializzato in proprietà industriale, che potrà valutare la situazione e consigliare i passi migliori da seguire.
◦ Inviare una diffida
Spesso si invia una lettera di diffida alla controparte, chiedendo di smettere subito l’uso del marchio o del brevetto e, se necessario, il risarcimento dei danni.
◦ Agire in giudizio
Se la diffida non basta, si può fare causa. Il giudice può ordinare di bloccare la produzione o la vendita dei prodotti contraffatti e condannare il responsabile al risarcimento dei danni.
◦ Segnalare alle autorità
In certi casi, la contraffazione costituisce anche un reato penale. Si può denunciare l’accaduto alla Guardia di Finanza o ad altri enti competenti.
Come difendersi preventivamente?
◦ Registrare sempre marchi e brevetti, così da avere una tutela legale più forte.
◦ Monitorare il mercato e internet per scoprire subito eventuali copie.
◦ Informare clienti e fornitori sulla differenza tra prodotti originali e contraffatti.
Conclusione
La contraffazione va affrontata subito e con decisione. Chi ha registrato regolarmente il proprio marchio o brevetto ha più strumenti per difendersi, sia in sede civile che penale. Prevenire e intervenire con tempestività aiuta a proteggere il proprio lavoro e il valore dell’azienda.

Quando si acquista una casa, può capitare di scoprire, solo dopo la firma del contratto e il trasferimento della proprietà, dei problemi nascosti che non erano visibili al momento dell’acquisto. Questi problemi, chiamati “vizi occulti”, sono difetti dell’immobile che...
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non erano evidenti né facilmente individuabili durante la visita e che il venditore non ha dichiarato.
Cosa sono i vizi occulti?
I vizi occulti sono difetti che rendono la casa meno adatta all’uso previsto o ne diminuiscono il valore. Esempi possono essere infiltrazioni d’acqua, problemi strutturali, impianti non a norma o presenza di muffa nascosta dietro i muri.
Cosa prevede la legge?
La legge tutela l’acquirente: il venditore è obbligato a garantire che l’immobile sia privo di vizi occulti. Se l’acquirente scopre un difetto dopo l’acquisto, può chiedere un rimedio, ad esempio la riduzione del prezzo, la riparazione del danno o, nei casi più gravi, la risoluzione del contratto.
Cosa deve fare l’acquirente?
Se si scopre un vizio occulto, è importante comunicarlo al venditore il prima possibile, di solito entro 8 giorni dalla scoperta e comunque entro un anno dalla consegna dell’immobile. La segnalazione deve essere fatta per iscritto, ad esempio tramite raccomandata.
Cosa rischia il venditore?
Se il venditore ha nascosto volontariamente il difetto, può essere obbligato a risarcire anche i danni subiti dall’acquirente, oltre a dover rimediare al vizio.
Conclusione
Quando si acquista una casa, è importante controllare attentamente l’immobile e, se si scopre un problema nascosto dopo l’acquisto, agire rapidamente per tutelare i propri diritti. La legge protegge l’acquirente dai vizi occulti, ma è fondamentale rispettare i tempi e le modalità previste per la denuncia.

Quando si decide di comprare una casa, spesso al momento della firma del contratto preliminare (“compromesso”) si versa una somma di denaro chiamata “caparra”. Questo pagamento ha lo scopo di garantire che entrambe le parti rispettino gli accordi presi.
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Cos’è la caparra?
La caparra è una somma di denaro che l’acquirente dà al venditore come impegno per l’acquisto della casa. Serve a dimostrare la serietà dell’intenzione di comprare e a tutelare sia chi compra che chi vende.
Cosa succede se l’acquirente cambia idea?
Se l’acquirente, dopo aver firmato il preliminare, decide di non comprare più la casa senza un valido motivo, il venditore può trattenere la caparra ricevuta come risarcimento.
Cosa succede se il venditore cambia idea?
Se invece è il venditore a non voler più vendere, deve restituire all’acquirente il doppio della caparra ricevuta. Questo serve a compensare il danno subito da chi voleva davvero comprare la casa.
Caparra confirmatoria e penitenziale
La caparra può essere di due tipi: confirmatoria (la più comune, che segue le regole sopra descritte) e penitenziale (che permette a una delle parti di recedere dal contratto, pagando o perdendo la caparra). La differenza va indicata chiaramente nel contratto.
Conclusione
La caparra è uno strumento importante nell’acquisto della casa perché tutela entrambe le parti e dimostra la serietà dell’impegno preso. Prima di versarla, è bene capire che cosa comporta e quali sono i propri diritti e doveri in caso di ripensamenti.

Quando si compra una casa, può capitare che, dopo la firma del contratto, emergano problemi gravi che rendono impossibile o molto difficile usare l’immobile come previsto. In questi casi, la legge offre delle soluzioni per tutelare chi ha subito un danno.
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Cos’è l’azione di risoluzione contrattuale?
La risoluzione del contratto è una procedura che permette all’acquirente (o al venditore) di chiedere l’annullamento dell’accordo se l’altra parte non rispetta gli impegni presi o se ci sono gravi problemi, come difetti nascosti o mancate consegne. Se il giudice accoglie la richiesta, il contratto viene sciolto: l’immobile torna al venditore e il compratore riavrà i soldi versati.
Quando si può chiedere la risoluzione?
La risoluzione si può chiedere, ad esempio, se la casa ha gravi difetti non dichiarati, se il venditore non consegna l’immobile nei tempi stabiliti o se emergono problemi legali che impediscono il trasferimento della proprietà.
Cosa significa risarcimento danni?
Oltre alla risoluzione, chi subisce un danno può chiedere anche un risarcimento. Questo significa che la parte inadempiente (ad esempio il venditore che non rispetta il contratto) deve pagare una somma di denaro per compensare il danno causato, come spese extra, perdita di tempo o altri problemi derivati dalla situazione.
Come si procede?
Per ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, di solito è necessario rivolgersi a un avvocato e, se non si trova un accordo, al giudice. È importante raccogliere tutte le prove dei problemi subiti e agire entro i termini previsti dalla legge.
Conclusione
Se dopo l’acquisto di un immobile emergono gravi problemi, l’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti. Questi strumenti servono a tutelare i diritti di chi compra e a garantire che, in caso di gravi inadempienze, si possa tornare alla situazione iniziale e ottenere una compensazione per i danni subiti.

Il mondo digitale ha aperto un mondo di opportunità a chi si occupa di vendita, spaziando dalle piccole imprese ai giganti dell’e-commerce, ossia i siti web di commercio elettronico, caratterizzati ...
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dal fatto che il contratto di acquisto si conclude online, generalmente attraverso l’impiego di un pulsante “Acquista”. Grazie al web, infatti, piccoli siti e piattaforme internazionali hanno potuto dialogare con un mercato molto più ampio, raggiungibile con un semplice clic.
Proprio per il gran numero di imprese che operano in questo settore e per l’enorme numero di possibilità, differenze e opzioni che possono verificarsi, la consulenza legale per e-commerce è un tema molto delicato e specialistico. In questo articolo cercheremo di offrire le informazioni fondamentali, che possano guidare gli imprenditori digitali a operare sul mercato.
Normative e-commerce: le informazioni fondamentali
Le principali normative da prendere in esame quando si parla e-commerce sono il Decreto Legislativo 70/2003, che recepisce la direttiva europea sul commercio elettronico, e il Codice del Consumo, ovvero il Decreto Legislativo 206 del 2005. A inizio 2020, infine, è entrato in vigore il New Deal per la tutela dei consumatori.
D.lgs. 70/2003 e D.lgs. 206/2005 prevedono una serie di norme a tutela sia del consumatore sia del venditore, che ogni e-commerce deve rispettare per essere a norma di legge. Il New Deal per la tutela dei consumatori è invece un accordo provvisorio che prevede un rafforzamento delle norme che tutelano i consumatori.
Oltre a queste leggi specifiche, il venditore deve poi sottostare alle normative vigenti in tema di commercio, che si applicano anche al commercio elettronico. Sono per esempio applicabili alla vendita online:
Le leggi che regolano l’attività di impresa
Le normative che regolano le comunicazioni pubblicitarie
Le norme del Codice Civile relative alla conclusione dei contratti a distanza
Le leggi relative alle vendite con strumenti informatici
Normativa e-commerce: le informazioni generali obbligatorie
Innanzitutto, chi opera nel settore dell’e-commerce deve sapere che per legge alcune informazioni devono essere facilmente accessibili a chi usufruisce del servizio. Queste informazioni includono:
Denominazione o ragione sociale dell’azienda
Domicilio o sede legale
Contatti, incluso l’indirizzo e-mail
Numero REA o numero di iscrizione al registro delle imprese
Numero della partita IVA o equivalente per operatori esteri
Elenco delle attività consentite al consumatore (esempio: diritto di recesso, modalità e tempi di restituzione, eventuale durata del contratto)
Questi sono solo alcuni degli elementi che per legge un e-commerce deve riportare.
Contrattualistica per e-commerce: l’importanza di una consulenza legale
Come abbiamo visto, se è vero che internet ha spalancato un mondo di opportunità per gli imprenditori digitali di ogni tipo, spaziando dai giganti dell’e-commerce sino alle piccole imprese, è anche vero che le normative e le leggi che regolano il commercio elettronico sono numerose e molto specifiche, e che l’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato vigila costantemente affinché vengano sempre rispettate, a tutela del consumatore ma anche di una concorrenza corretta e svolta nel rispetto della Legge.
Sempre più spesso si verificano casi di aziende di e-commerce che vengono sanzionate per non aver rispettato la Legge, sanzioni possono essere sostenute dai grandi colossi, ma possono rappresentare un problema insormontabile per le piccole e medie imprese che si sono riversate nel web xxx, magari copiando tutte la parte contrattuale da un concorrente o utilizzando modelli di dubbia provenienza reperibili in rete.
La contrattualistica per e-commerce precisa, personalizzata e preparata da un avvocato specializzato in commercio elettronico è invece il migliore strumento di tutela per chi desidera aprire un e-commerce con la sicurezza di non essere sottoposto a sanzioni delle Autorità, ma anche con la certezza di offrire ai propri utenti un servizio chiaro e trasparente, evitando quindi anche controversie e azioni legali indesiderate e potenzialmente dispendiose e nocive per l’azienda.
Per la redazione della contrattualistica per il tuo e-commerce, contattaci per una consulenza specializzata.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

I contratti bancari, ovvero tutti quei contratti che regolano i rapporti tra un’azienda o un privato e l’impresa bancaria, finalizzati alla raccolta del risparmio, all’erogazione di un credito o alla prestazione di servizi accessori al pubblico...
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rappresentano da sempre un supporto ma anche una preoccupazione per privati e imprese. Ecco perché la consulenza legale prima della stipula di questo tipo di contratti è fondamentale per conoscere e comprendere le condizioni, i rischi e le opportunità di ogni operazione bancaria.
Nel caso poi sorgano delle problematiche, l’analisi legale dei contratti sottoscritti è necessaria per capire come procedere e come tutelarsi al meglio. A cominciare dal contratto di apertura del credito, di deposito, di anticipazione bancaria.
Le garanzie restitutorie per esempio sono tra gli elementi da valutare sia prima della firma di un contratto sia per risolvere eventuali problematiche che possano insorgere successivamente. Più in generale, la consulenza di un legale specializzato in diritto bancario ha lo scopo di ridurre al massimo i rischi a cui un’azienda o un privato si espone all’apertura di un mutuo, un fido bancario o alla sottoscrizione di altre forme di contratto con la propria banca.
I contratti bancari più diffusi che un avvocato specializzato in diritto bancario può analizzare e valutare sono:
Mutui
Leasing mobiliari o immobiliari
Contratti di finanziamento
Contratti di conto corrente, con fido o meno
Rapporti di cessione del quinto
Fideiussioni
Si tratta solo di alcuni esempi di contratti che è importante sottoporre all’analisi di un legale specializzato.
Consulenza legale e diritto bancario per le imprese
La consulenza legale in ambito bancario è particolarmente rilevante per le imprese, che spesso per loro natura fanno affidamento sul credito concesso dalle banche per poter sviluppare nuove strategie, innovare e affermarsi sul mercato. Dato che un buon rapporto con la banca è essenziale per ogni azienda che desideri mantenersi sana e forte nel tempo, un consulente specializzato in diritto bancario è una figura fondamentale per valutare i contratti da sottoscrivere, evidenziare eventuali criticità o rendere l’imprenditore consapevole delle condizioni a cui sta operando.
Se la consulenza legale è fondamentale per le imprese in fase di crescita, lo è ancora di più per quelle aziende che attraversano una fase di crisi. In questi casi, si rende necessaria una analisi delle fonti finanziarie dell’impresa, delle criticità e la definizione di un percorso di ripianamento dei debiti che può concretizzarsi in proposte di saldo e stralcio o nella firma di accordi che prevedono pagamenti dilazionati.
Come abbiamo visto, la consulenza legale in diritto bancario è uno strumento fondamentale ancor prima che venga sottoscritto un contratto con la banca. Tuttavia, spesso accade che le aziende si rivolgano a un legale solo all’insorgere di problematiche e controversie con la propria banca. In questi casi, un’analisi dei contratti e della situazione finanziaria dal punto di vista legale è utile per capire se effettivamente ci sono state delle irregolarità da parte della banca o se invece eventuali controversie derivino da altri fattori.
Ogni situazione, in casi come questi, rappresenta un unicum e deve essere analizzata singolarmente per trovare, insieme all’istituto bancario e al cliente, la soluzione migliore.
Se stai per firmare un contratto con la tua banca e vuoi ottenere una consulenza legale specializzata, oppure se stai affrontando problemi e controversie con il tuo istituto bancario, la nostra consulenza può aiutarti a capire come muoverti e come poter giungere nel minor tempo possibile alla risoluzione della controversia.
Se hai bisogno di una consulenza specializzata, contattaci.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

Negazione, rabbia, senso di colpa, solitudine, perdita, paura, lutto, accettazione. Separarsi o divorziare è un processo doloroso che crea un grande vuoto nella vita delle persone, genera emozioni...
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contrastanti e comporta un forte stress emotivo. Ritrovare equilibrio psicologico e autonomia emotiva richiede spesso molto tempo, indipendentemente da chi dei due partner abbia voluto allontanarsi dall’altro. È la fine di un sogno e un fallimento per entrambi, non è mai semplice lasciarsi il passato alle spalle e guardare al futuro.
Al lutto personale si aggiunge la fatica emotiva di dover vivere un procedimento oneroso che porta alla risoluzione della controversia tra le parti in Tribunale. L’alternativa è ricorrere alla negoziazione assistita. La separazione o il divorzio con negoziazione assistita prevede infatti che i coniugi raggiungano un accordo consensuale per il tramite dei propri difensori. Si tratta quindi di un percorso alternativo al Tribunale, che permette ai coniugi di semplificare le procedure giuridiche, dà maggior flessibilità, riduce i tempi e i costi del procedimento, ma al contempo richiede maggior dedizione, attenzione e competenza all’avvocato incaricato dalle parti.
Determinante e indispensabile è infatti affidarsi ad un avvocato specializzato ed esperto in materia, che in virtù della sua sensibilità ed esperienza, saprà gestire e portare a termine con successo la mediazione necessaria al raggiungimento dell’accordo consensuale.
L’obiettivo dell’avvocato è tutelare gli interessi del proprio assistito riducendo i tempi del contenzioso ed evitandogli, per quanto possibile, lo stress emotivo della causa avanti al giudice e ciò anche nell’interesse dei figli sui quali si ripercuotono inevitabilmente gli effetti della separazione.
Come è regolata la negoziazione assistita familiare
Il riferimento normativo che regola la negoziazione assistita familiare è l’art. 6 d.l. 12 settembre 2014, n. 132 conv. con mod. in l. 10 novembre 2014, n. 162, il quale introduce la convenzione di negoziazione come strumento di risoluzione delle controversie tra coniugi alternativo alla causa in Tribunale.
Recentemente il legislatore ha inteso estendere detto strumento di risoluzione delle controversie a tutte le questioni riguardanti il diritto di famiglia. L’art. 1, comma 35, Legge n. 206 del 26 novembre 2021 (legge recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”) ha infatti inserito all’art. 6 in commento il nuovo comma 1-bis, secondo cui
“la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra i genitori al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate. Può altresì essere conclusa tra le parti per raggiungere una soluzione consensuale per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e per la determinazione degli alimenti, ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, e per la modifica di tali determinazioni”.
In quali casi si può ricorrere alla negoziazione assistita
Secondo la legge, si può ricorrere alla negoziazione assistita nei casi di:
Separazione personale;
Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario;
Scioglimento del matrimonio civile;
Modifica delle condizioni di separazione/divorzio;
Regolamentazione affidamento e mantenimento figli nati fuori dal matrimonio (introdotto con la recente riforma).
I vantaggi della negoziazione assistita in tema di famiglia
Nelle controversie di diritto di famiglia il ricorso a tale strumento è facoltativo, ma i suoi vantaggi sono sicuramente molti.
È lo stesso legislatore a definire detta procedura come “un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo”.
Nell’accordo, che deve essere formalizzato per iscritto, le parti, assistite dai rispettivi consulenti legali, stabiliscono un termine per il completamento della procedura (che non può essere inferiore a uno né superiore a tre mesi, con la possibilità di una proroga di trenta giorni aggiuntivi), definendo anche l’ambito della controversia riguardante diritti soggetti a disposizione delle parti e relativa a separazione consensuale e divorzio (sono esclusi, quindi, i diritti non negoziabili e quelli relativi al lavoro).
Per attuare questa procedura, gli avvocati sono tenuti, secondo norme deontologiche, a informare il cliente (al momento dell’assegnazione dell’incarico) sulla possibilità di aderire alla convenzione di negoziazione assistita e sono altresì vietati dall’utilizzare in tribunale le informazioni apprese durante tale negoziazione.
In aggiunta, per monitorare l’efficacia di questo strumento, è stato stabilito l’obbligo per gli avvocati che sottoscrivono l’accordo concordato tra le parti nell’ambito della convenzione di negoziazione assistita di inviarne copia al Consiglio dell’Ordine circondariale del luogo in cui è stato concluso l’accordo, oppure al Consiglio dell’Ordine presso cui è registrato uno degli avvocati coinvolti.
L’importanza di avvalersi di un avvocato esperto in casi di negoziazione assistita
Se gli accordi stabiliti non vengono rispettati da uno dei genitori, il regime di affido può essere modificato, ad esempio se:
uno dei due genitori tiene un comportamento ostruzionistico e denigratorio al fine di svalutare l’ex partner agli occhi del figlio;
uno dei due genitori non rispetta il calendario e i tempi delle visite stabiliti dal giudice, tralasciando i propri doveri genitoriali oppure abusando dei suoi poteri con grave pregiudizio per il minore;
uno dei due genitori si mostra ostile, senza logica motivazione, a qualsiasi tentativo di accordo sulle decisioni relative all’amministrazione straordinaria del minore ostacolando di fatto lo svolgimento dell’affido condiviso ed esponendo i minori a continui litigi tra i genitori;
È sempre possibile rivalutare e modificare le condizioni di affido. Se le condizioni cambiano quindi, il genitore può fare ricorso in tribunale e chiedere l’affidamento esclusivo dei figli.
Se hai bisogno di una consulenza specializzata, contattaci subito.
Avv. Daniela Pavone
Diritto di Famiglia e Successioni
Laureata in Giurisprudenza presso – Università degli Studi di Torino – Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino – Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2008. Master breve in Diritto di Famiglia e Minorile presso A.I.D.I.F – Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie di Torino.

Le situazioni di crisi delle aziende sono purtroppo una realtà che moltissimi imprenditori si sono ritrovati ad affrontare, soprattutto in occasione di periodi di crisi generalizzati e prolungati...
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come la crisi economica mondiale che si è verificata tra il 2007 e il 2013 o la più recente crisi generata dalla pandemia da Covid-19. Quando un’azienda si trova in una condizione di grave crisi economica, il supporto di un avvocato specializzato nella gestione di queste crisi e in diritto fallimentare è essenziale per limitare al massimo i danni e trovare la strada migliore per ripianare la situazione aziendale oppure portare alla chiusura dell’attività minimizzando le perdite.
La prima valutazione da compiere è quella necessaria per stabilire se la difficoltà economica dell’azienda sia o meno irreversibile. Nel primo caso, un avvocato può accompagnare l’azienda nella procedura di fallimento, oggi denominata di liquidazione giudiziale.
Secondo il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, la procedura è finalizzata alla liquidazione dei beni di un imprenditore o di una società insolvente (artt. 121-283 CCII).
La principale novità riguarda la terminologia: seguendo l’esempio di diversi paesi europei, il legislatore italiano ha adottato una terminologia più neutra, sostituendo il termine “fallimento” per evitare connotazioni negative.
Inoltre, la riforma mira a trasformare un contesto organizzativo focalizzato sulla liquidazione dell’attivo, promuovendo procedure che incentivino la continuità aziendale e il risanamento dell’impresa, ove possibile. Si pone l’accento su una maggiore autonomia dei soggetti coinvolti, dai debitori ai creditori. Le innovazioni rispetto al “vecchio” fallimento sono orientate a semplificare e accelerare la procedura.
Riguardano, in particolare:
Il ruolo del curatore assume una maggiore centralità, permettendogli di avviare autonomamente le azioni di responsabilità senza attendere l’approvazione del comitato dei creditori e l’autorizzazione del tribunale;
il periodo sospetto per le azioni di recupero viene anticipato alla presentazione dell’istanza di fallimento, anziché a partire dall’apertura del fallimento;
il ruolo del comitato dei creditori viene modificato, diventando non necessario per le procedure minori e semplificato nel contesto della liquidazione giudiziale;
l’ampliamento dell’applicazione dei principi che mirano a riabilitare la figura del fallito, seguendo la cosiddetta regola del “fresh start”.
Qualora invece la situazione sia considerata reversibile, è possibile ricorrere allo strumento del concordato preventivo, che può essere liquidatorio (vendita dei beni aziendali) oppure in continuità (un accordo con i creditori che prevede il prosieguo dell’attività aziendale e delle proposte di saldo e stralcio fatte ai creditori che vengono approvate da un Tribunale e controllate da degli organi nominati dallo stesso Tribunale).
Vi sono poi le cosiddette procedure da sovraindebitamento, che possono essere giudiziali o stragiudiziali.
Le procedure da sovraindebitamento giudiziali sono state pensate appositamente per quelle società che non possono fallire (vedremo infatti tra poco che non tutte le aziende possono dichiarare fallimento) mentre le procedure da sovraindebitamento stragiudiziali sono tutte quelle procedure che consentono di stabilire dei piani di ripianamento del debito su larga scala senza ricorrere all’ausilio e/o all’omologazione del Tribunale.
Liquidazione giudiziale: quando può essere attivata
Come già menzionato, non tutte le aziende possono, per legge, essere soggette alla cosiddetta liquidazione giudiziale.
Solo le imprese private (sia ditte individuali che società) che operano in attività commerciali, quali produzione di beni e servizi, banche e assicurazioni, trasporto e intermediazione, possono essere sottoposte a procedura fallimentare.
Non possono fallire gli enti pubblici, le imprese non commerciali, gli imprenditori agricoli. Sono esclusi anche i piccoli imprenditori (gli artigiani e chi esercita un’attività professionale basata prevalentemente sul proprio lavoro o quello dei propri familiari).
Vi sono poi altri requisiti che devono essere soddisfatti per poter attivare una procedura fallimentare, e che riguardano i volumi di debito, i ricavi e la struttura della società o dell’azienda.
Liquidazione giudiziale: come avviene e cosa comporta
Il vecchio istituto del fallimento, un tempo regolato dal r.d. n. 267 del 16/03/1942 (Legge Fallimentare), è stato oggi sostituito dalla cd liquidazione giudiziale disciplinata dal D.Lgs. 14/2019 entrato in vigore soltanto il 15 luglio 2022 nel testo largamente modificato ad opera del D.Lgs. 83/2022.
Una società che fallisce è una società che viene dichiarata fallita da una sentenza del Tribunale, stabilendo così che attraverso la propria attività non è più in grado di ottemperare al volume di debiti che ha creato.
Il Tribunale pronuncia tale sentenza quando viene portato a conoscenza dello stato di insolvenza di un’azienda. La normativa prevede che l’istanza di fallimento possa essere avanzata direttamente dall’azienda stessa (dall’imprenditore o dall’amministratore con poteri di rappresentanza legale), da uno o più creditori dell’impresa, o in circostanze specifiche su richiesta del Pubblico Ministero.
Quando il Giudice stabilisce che esistono i presupposti per dichiarare il fallimento, emette la sentenza e avvia così la procedura fallimentare, un procedimento attraverso cui i beni dell’impresa vengono raggruppati e venduti allo scopo di pagare, per quanto lo consentano, i debiti contratti.
Le procedure alternative alla liquidazione giudiziale
Come accennato all’inizio di questo articolo, vi sono anche alcune procedure alternative alla liquidazione giudiziale. Tali procedure sono state introdotte per la prima volta nel 2005 con l’obiettivo di portare alla conservazione dell’impresa e a una maggiore soddisfazione dei creditori in tempi più rapidi. Tra queste procedure, citiamo il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il piano di risanamento.
Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha poi introdotto numerose nuove procedure alternative alla liquidazione giudiziale.
Ciascuno di questi strumenti segue regole, norme e procedure diverse e ha un impatto diverso sull’azienda. Proprio per questo, la consulenza di un avvocato specializzato in diritto fallimentare e crisi d’impresa è essenziale per scegliere insieme lo strumento più adatto a ogni specifica situazione e minimizzare le perdite.
Se hai bisogno di una consulenza specializzata, contattaci subito.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

Avv. Daniela Pavone | Privati
Tensioni, incomprensioni, silenzi, nervosismi e conflittualità. Uno stato di malumore profondo e doloroso. Con il passare del tempo, numerose coppie perdono l’intesa e l’armonia che li aveva uniti...
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guardando al futuro separarsi diventa l’unica strada percorribile.
Molteplici sono le cause che spingono due persone ad interrompere un percorso di vita condiviso, siano essi legalmente sposati oppure conviventi di fatto.
Ma come ci si comporta se i figli della coppia sono minori o maggiorenni non autosufficienti? Come si garantisce stabilità ed equilibrio ai propri figli? Come si proteggono dal trauma della separazione?
In primis è opportuno distinguere il concetto di affidamento dei figli (ad uno solo dei genitori o a entrambi) da quello di collocamento dei figli. Il primo infatti attiene alla sfera delle scelte educative e di maggiore interesse per i figli, il secondo invece riguarda esclusivamente la residenza e la dimora abituale dei figli dopo la separazione dei genitori.
Con l’approvazione della legge n. 54/2006 e l’introduzione dell’affido condiviso, viene sancito il principio della bi-genitorialità, ossia il diritto dei figli a poter avere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori, anche dopo la crisi irreversibile del loro matrimonio o della convivenza.
Attualmente, l’affido condiviso rappresenta dunque non solo la soluzione meno dolorosa ma anche la regola per il giudice, che solo in casi particolari e delicati dispone l’affidamento esclusivo.
Cosa significa esattamente affido condiviso
Significa condivisione, corresponsabilità, codecisione. Principi e valori che il legislatore ha voluto introdurre per dare a entrambi i genitori l’obbligo di esercitare la responsabilità genitoriale sulla prole, affinché prendano insieme le decisioni di maggiore importanza riguardanti i figli, in tema di educazione, istruzione e salute.
Divisi nella vita, i genitori restano uniti per il bene dei figli, sono chiamati a valutare, pensare, predisporre e attuare un progetto comune nell’interesse dei figli, per la loro formazione, la cura e la gestione degli stessi nel rispetto delle loro esigenze, delle loro richieste, della realizzazione dei loro sogni e ideali di vita, per il loro futuro.
Non solo.
Bi-genitorialità significa che ciascun genitore deve permettere all’altro di costruire e mantenere un rapporto pieno e profondo con il proprio figlio, nella consapevolezza che la cultura, la personalità e le idee dell’altro genitore possono essere diverse dalle proprie, ma altrettanto preziose per la crescita e la serenità dei figli.
Affido condiviso non significa però parificazione delle modalità e dei tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascun genitore. Per diversi motivi (la distanza, gli impegni, gli studi) è impossibile pensare ad una convivenza identica del minore con entrambi i genitori, ma non è necessario che ciascun genitore trascorra con i propri figli lo stesso tempo, quello che più conta è la qualità e l’intensità dei momenti trascorsi insieme.
Per agevolare la gestione della quotidianità, la soluzione più frequente prevede infatti che i figli vivano prevalentemente con un genitore con possibilità per l’altro genitore di poter vedere e tenere con sé i figli in maniera significativa, in giornate concordate.
È altresì fattibile stabilire che i figli trascorrano periodi alternati con ciascun genitore (conosciuto come collocamento alternato) oppure pianificare un’alternanza dei genitori nella residenza familiare dove i figli minori rimangono a vivere (conosciuto come collocamento invariato).
Secondo la legge, l’affidamento condiviso può essere disposto alternativamente:
dai coniugi nell’accordo di separazione consensuale o nella domanda di divorzio congiunto, nei casi di coppia legalmente sposata, oppure, in assenza di matrimonio o unione civile, dai genitori negli accordi congiunti di regolamentazione di affidamento e mantenimento di figli minori;
dal giudice nella decisione sulla separazione o divorzio giudiziale oppure nei procedimenti giudiziali di regolamentazione del mantenimento e di affidamento di figli nati fuori dal matrimonio.
Posto che nel nostro sistema giuridico il regime dell’affidamento condiviso rappresenta la regola, mentre l’affidamento esclusivo è l’eccezione, e ciò in ossequio al diritto alla bigenitorialità, vediamo di seguito in quali casi è possibile (o meglio, opportuno) ottenere l’affidamento esclusivo del figlio minorenne.
Come funziona e quando si può chiedere l’affidamento esclusivo dei figli
L’art. 377 quater, c. 3, codice civile precisa quanto segue:
L’affido esclusivo implica che:
“Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori.”
In via generale, l’affidamento esclusivo viene disposto dal Giudice ogni volta che viene riscontrata l’incapacità di uno dei due genitori a provvedere alle responsabilità legate al proprio ruolo di genitore con conseguente pregiudizio al benessere attuale e futuro dei figli minori.
La scelta tra l’affidamento esclusivo e quello condiviso si basa unicamente sulle fondamentali e imprescindibili esigenze di cura, educazione, istruzione e sana crescita psico-fisica dei figli.
Di conseguenza, il convincimento del Giudice per l’affidamento esclusivo, in luogo dell’affidamento condiviso, si fonda esclusivamente sull’inidoneità comprovata a prendersi cura dei figli minori da parte di uno dei due genitori.
Al genitore non affidatario resta comunque il diritto e il dovere di sorvegliare e verificare che qualsiasi decisione del genitore affidatario venga presa nell’interesse morale e materiale del minore.
La domanda di affidamento esclusivo può essere avanzata in sede di separazione personale tra coniugi, sia essa consensuale o giudiziale; può altresì essere presentata dopo la separazione, con un ricorso ad hoc chiedendo al Giudice la modifica delle condizioni di separazione. Infine, anche nella causa di divorzio, ovvero dello scioglimento definitivo di ogni vincolo fra i coniugi, si può chiedere la modifica del regime di affidamento dei figli.
Va infine evidenziato che l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, trattandosi dell’eccezione alla regola generale dell’affidamento condiviso, viene disposto dal Giudice in sede processuale, dopo un’attenta valutazione del caso specifico, con l’eventuale ausilio di consulenti tecnici (medici, psicologi, ecc.), dopo un accurato vaglio delle prove offerte in giudizio (prove documentali e testimoniali) e solo ove risulti che l’affidamento condiviso sia pregiudizievole per i figli.
La capacità genitoriale viene valutata dal giudice caso per caso, individuo per individuo.
Se gli accordi stabiliti non vengono rispettati da uno dei genitori, il regime di affido può essere modificato, ad esempio se:
uno dei due genitori tiene un comportamento ostruzionistico e denigratorio al fine di svalutare l’ex partner agli occhi del figlio;
uno dei due genitori non rispetta il calendario e i tempi delle visite stabiliti dal giudice, tralasciando i propri doveri genitoriali oppure abusando dei suoi poteri con grave pregiudizio per il minore;
uno dei due genitori si mostra ostile, senza logica motivazione, a qualsiasi tentativo di accordo sulle decisioni relative all’amministrazione straordinaria del minore ostacolando di fatto lo svolgimento dell’affido condiviso ed esponendo i minori a continui litigi tra i genitori;
È sempre possibile rivalutare e modificare le condizioni di affido. Se le condizioni cambiano quindi, il genitore può fare ricorso in tribunale e chiedere l’affidamento esclusivo dei figli.
L’importanza della Consulenza legale per l’affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio
La fine di una relazione è di per sé dolorosa per qualsiasi coppia e il coinvolgimento di figli minori può diventare fonte di stress e acuire gli attriti. Per tutelare sé stessi e i propri figli è importante chiedere il supporto di un avvocato specializzato in diritto minorile.
La conoscenza e l’esperienza maturata in questa specifica materia infatti, garantiscono la miglior assistenza possibile nei procedimenti legati a:
separazione e divorzio
affidamento di figli minori
mantenimento e assegnazione casa
Anche in caso di separazione consensuale, è fondamentale definire fin da subito regole precise sulla gestione dei figli, che rispettino i diritti di ciascun genitore, attribuiscano chiare responsabilità e soprattutto tutelino moralmente e materialmente i minori.
Questi accordi dovrebbero essere valutati con estrema attenzione per assicurare un futuro quanto più sereno al genitore, ai figli e ad eventuali nuovi componenti che entreranno a far parte della famiglia allargata in futuro.
Senza un accordo chiaro sulle modalità di affido, si rischia di dover poi ricorrere ad un legale per risolvere qualsiasi successivo contrasto.
Questa spiacevole e stressante situazione può e deve essere evitata.
Un consulto legale preventivo, è utile quando si sta per affrontare una separazione o un divorzio, anche per conoscere i propri diritti e i propri doveri.
È importante per aver chiaro, ad esempio, quante volte sarà possibile vedere il proprio figlio o cosa fare se l’ex compagno/a non concede il consenso per questioni importanti come il vaccino o l’intervento di uno psicologo.
Ecco perché, per tutte le tematiche connesse all’affidamento dei figli, è importante avvalersi prima possibile del supporto e della consulenza di un avvocato specializzato in diritto minorile.
Avv. Daniela Pavone
Diritto di Famiglia e Successioni
Laureata in Giurisprudenza presso – Università degli Studi di Torino – Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino – Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2008. Master breve in Diritto di Famiglia e Minorile presso A.I.D.I.F – Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie di Torino.

Casi di malasanità appaiono fin troppo spesso nelle pagine di cronaca. Disorganizzazione delle strutture sanitarie, diagnosi errate o ritardate e terapie inadeguate creano danni, a volte anche gravi, ai pazienti.
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Cos'è il disservizio sanitario
In linea generale, si parla di disservizio sanitario ogni volta che lo stato di salute di un soggetto peggiora – anziché migliorare – dopo l’intervento del medico o della struttura sanitaria. L’aggravarsi delle condizioni cliniche è da attribuire ad un inaspettato errore medico, che non ha nulla a che vedere con i prevedibili effetti collaterali legati alla terapia.
Per ottenere il risarcimento del danno subito per malasanità, la vittima di errore medico deve dimostrare che la lesione alla sua salute è la nefasta conseguenza di un’inopportuna azione del dottore, dell’omissione di cure adeguate oppure di carenze nell’organizzazione sanitaria.
Cosa significa e quando si ha diritto ad un risarcimento danni per malasanità
L’art. 2043 del codice civile “Risarcimento per fatto illecito” recita: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
La normativa evidenzia chiaramente gli elementi fondamentali di quella che in gergo è definita “responsabilità extracontrattuale”, vale a dire l’irregolarità che si verifica tra soggetti non vincolati da un contratto:
fatto illecito
danno ingiusto
nesso di causalità tra il fatto e il danno (giuridica e materiale)
imputabilità del fatto lesivo
colpevolezza dell’agente
La condotta di un professionista o di un’azienda è giudicata colposa quando si ritiene che il servizio offerto sia stato svolto con negligenza, imperizia e imprudenza. In ambito sanitario, si traduce come segue:
Negligenza: quando il medico ha agito con superficialità o disattenzione, omettendo un’azione doverosa. Questo si verifica, ad esempio, quando lo specialista o altro personale sanitario svolge accertamenti diagnostici in maniera poco scrupolosa, trascurando la sintomatologia, non prescrivendo gli esami necessari, siano essi di routine o specialistici, oppure ritardando cure ed interventi.
Imperizia: quando il medico ha agito senza la necessaria capacità e preparazione tecnica. la scarsa competenza o l’insufficiente esperienza del personale addetto alle cure aumentano drasticamente il rischio di una diagnosi sbagliata, di un errore durante un intervento o di una gestione inappropriata dell’assistenza necessaria al malato.
Imprudenza: quando il medico ha agito senza la dovuta cautela. Succede, per esempio, in caso di diagnosi frettolosa o, al contrario, ritardata; oppure quando il sanitario sottovaluta i rischi e opta per soluzioni avventate.
Ciò detto, si precisa che i danni derivati da eventi di malpractice medica e in generale da un errato trattamento sanitario, qualora il fatto sia imputabile alla struttura sanitaria sia essa pubblica o privata, sono inquadrabili all’interno della responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 del codice civile, ritenendo che il rapporto che lega la struttura sanitaria al paziente trova la sua origine in un contratto obbligatorio atipico che viene definito contratto di spedalità o di assistenza sanitaria.
Inoltre, si rilevi come la struttura sanitaria risponda contrattualmente anche nel caso in cui la stessa si avvalga di dipendenti o di collaboratori esterni, siano essi esercenti professioni sanitarie (come medici, infermieri eccetera) o personale ausiliario, e siano tali soggetti a porre in essere la condotta che ha determinato l’evento dannoso.
In quest’ultimo caso, la struttura sanitaria risponde ai sensi dell’articolo 1228 del codice civile, il quale stabilisce che il debitore, il quale per adempiere alla propria obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi ultimi.
Chi risarcisce i danni per errore medico
Nei contesti di malasanità, la responsabilità medica e sanitaria include qualsiasi lesione, temporanea o permanente, alla salute psico-fisica del paziente. Colpevole di tale condizione traumatica o patologica può essere un’équipe medica, un singolo dottore, il personale paramedico, oppure la struttura sanitaria.
Errori nella diagnosi e nella scelta della terapia sono le cause più frequenti dei disservizi sanitari che inducono i pazienti o i loro familiari a rivolgersi ad un legale per ottenere giustizia.
Il danno può essere provocato in qualsiasi fase della prestazione medica e in qualsiasi ambito sanitario: prevenzione, diagnosi, terapia, operazione chirurgica, degenza ospedaliera, intervento estetico, cura riabilitativa.
L’intero organico di una struttura medico ospedaliera può essere coinvolto e dunque ritenuto responsabile: non solo medici e chirurghi quindi, ma anche infermieri, assistenti sanitari e tecnici. Vanno inoltre inclusi a questo elenco anche gli impiegati o i dirigenti d’azienda, quando l’insufficienza organizzativa della struttura sanitaria impedisce al personale di svolgere il lavoro nelle giuste condizioni e in maniera adeguata.
La non idoneità del personale, dei macchinari o dell’apparato infatti, possono avere un impatto negativo sulle cure al paziente, quanto la mano del medico che opera.
Chi contattare per segnalare un caso di malasanità
Posto che, spetta al paziente, assistito dal suo avvocato, dimostrare che la lesione patita è strettamente connessa ad un errore umano, tecnico od organizzativo avvenuto durante le cure a cui si è sottoposto,
se ritenete di essere stati vittime di errori medici e di aver subito danni psico-fisici, è lecito chiedersi qual è la strada da percorrere per essere doverosamente risarciti di tutte le sofferenze.
Nei casi di malasanità ed errore medico, è cruciale rivolgersi a un avvocato specializzato in responsabilità medica e sanitaria. Un legale esperto in questa materia è in grado di fornire le valutazioni appropriate e intraprendere azioni efficaci per tutelare il proprio assistito, identificando la tipologia e l’entità del risarcimento che gli spetta di diritto. Questo può includere anche il coinvolgimento di medici specialisti per una valutazione scientifica dell’estensione del danno subito.
Inoltre, per ottenere il giusto risarcimento, è necessario svolgere un lavoro accurato e impegnativo anche di natura burocratica. Senza un’assistenza legale adeguata, i tempi per risolvere la situazione possono essere prolungati, causando ulteriore sofferenza oltre al danno già subito.
Cosa serve per denunciare un errore medico e ottenere il risarcimento danni
Prima di tutto occorre recuperare la documentazione che illustra l’iter al quale il paziente è stato sottoposto: certificati medici, accertamenti, diagnosi, trattamenti, terapie ed eventuali interventi chirurgici. In sostanza, tutto ciò che sia utile a dimostrare le condizioni di salute del soggetto prima e dopo l’insorgere della lesione:
risultati di visite mediche e analisi
cartelle cliniche
lastre, esami e certificati
ricevute delle prestazioni mediche
L’avvocato specializzato in risarcimento danni per errore medico o malasanità, individuando nel proprio team di consulenti lo specialista della patologia della quale soffre il paziente, analizzerà la documentazione raccolta.
Questo parere medico esterno, aiuterà a identificare il nesso di causalità tra il danno subito e il fatto illecito, ovvero, come le condizioni attuali della persona sono legate all’errato modo di operare del dottore o della struttura sanitaria.
Come ottenere il risarcimento danni in caso di errore medico
La procedura giuridica che regola i casi di malasanità prevede un primo tentativo di conciliazione fra vittima e professionista sanitario. Sono sostanzialmente due le strade che il paziente, assistito dal suo avvocato, può intraprendere:
procedimento di Mediazione
accertamento Tecnico Preventivo
Il procedimento di mediazione consiste nel tentativo di trovare un accordo stragiudiziale attraverso l’intervento di un mediatore. Questa figura ha il compito di ascoltare le Parti, verificare la situazione e proporre la soluzione economica più ragionevole per entrambe; le Parti sono libere di accogliere o meno le indicazioni del mediatore.
L’accertamento tecnico preventivo prevede invece la nomina di un consulente tecnico da parte del Tribunale. Il perito medico specialista chiamato in causa indagherà sulle responsabilità degli imputati basandosi sulla documentazione raccolta e sull’esame del paziente, e offrirà il suo parere al fine di trovare un accordo.
Se con il procedimento di mediazione o con l’accertamento tecnico preventivo l’accordo tra le Parti non viene raggiunto, si può procedere alla causa vera e propria. Sempre con l’assistenza di un avvocato difensore, il paziente potrà decidere di presentarsi davanti al Giudice Civile per ottenere una sentenza di condanna e il conseguente risarcimento del danno.
Causa civile per risarcimento danni malasanità: cosa prevede la legge
Per le controversie in materia di responsabilità medica è previsto l’obbligo del tentativo di mediazione a scopo conciliativo. Le contese legali tra pazienti e medici rientrano infatti tra quelle annoverate dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 2010 che definisce in chiari termini mediazione, mediatore e conciliazione. Solo a seguito di questo procedimento, necessario e imprescindibile, è possibile avviare la causa ordinaria.
Le controversie in materia di responsabilità sanitaria sono invece regolate dal decreto legge n. 69 del 2013 (il cosiddetto “Decreto del fare”), poi convertito in legge 98/2013; questo sancisce l’obbligo del tentativo di mediazione anche per i casi di risarcimento danni che vedano coinvolti un qualsiasi soggetto impiegato all’interno della struttura sanitaria.
Nel 2017 è stato introdotto un ulteriore strumento conciliativo, alternativo alla mediazione: la cosiddetta “Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”. Questo procedimento è disciplinato dall’art. 696 bis del codice di procedura civile e può essere applicato in caso di ipotesi di responsabilità sanitaria. Si tratta di una soluzione distinta dalla mediazione e dall’accertamento tecnico, ma resta comunque un passaggio obbligatorio da mettere in atto prima di procedere con la domanda di risarcimento da parte del paziente. Il giudice o il presidente del tribunale nomina un consulente tecnico d’ufficio, il quale ha il compito di eseguire un accertamento preventivo e determinare la mancata o errata esecuzione degli obblighi contrattuali o del fatto illecito. Alla luce di quanto emerso dall’attività di accertamento, il consulente tenta la conciliazione delle parti.
L’art. 8, comma 4 della Legge Gelli-Bianco prevede l’obbligo di partecipazione al procedimento anche a carico dell’assicurazione, la quale ha il compito di verificare i risultati dell’accertamento tecnico preventivo e formulare una proposta di risarcimento del danno.
Vittima di malasanità. Il risarcimento danni è un diritto
Il meccanismo processuale che si attiva a seguito di episodi di malasanità si suddivide generalmente in due fasi:
la prima fase è volta al riconoscimento e all’analisi delle posizioni e degli interessi dei soggetti coinvolti; personale medico e paziente, ma anche la struttura sanitaria, le compagnie assicurative e, nei casi più gravi, i familiari del paziente invalido o defunto.
la seconda fase è incentrata sulla definizione e l’avanzamento della richiesta di risarcimento e sull’eventuale riconoscimento di una possibile rilevanza penale dell’illecito.
Questo avviene perché, ottenere il giusto risarcimento del danno biologico causato da un errore medico o da malasanità è un diritto.
Tuttavia, solo con l’assistenza di un difensore specializzato in questa materia è possibile affrontare l’iter processuale con la tranquillità e la sicurezza che ogni passaggio utile a far valere i propri diritti, o quelli un proprio caro, venga portato a compimento in modo adeguato.
Per questo motivo e per quanto sin qui dettagliato, è sempre consigliabile affidarsi ad un avvocato esperto in materia di responsabilità medica e malasanità.
Avv. Nicola Spinoso
Responsabilità civile e medica
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza - Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2015.

I contratti assicurativi servono a proteggerci da imprevisti, danni o incidenti. Eppure, può capitare che, proprio nel momento del bisogno, l’assicurazione neghi il risarcimento. Come è naturale che...
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sia, le persone ritengono inaccettabile il fatto che un’assicurazione non paghi, o che sia disposta a coprire un importo inferiore rispetto a quello che ci si aspetta.
La ragione, in realtà, può essere scritta a chiare lettere in quel contratto che, troppo spesso, i clienti sottoscrivono senza leggere attentamente.
Come scoprire se l’assicurazione ha torto o ragione nel non voler risarcire?
Come essere certi di avere diritto ad un risarcimento o se l’ammontare dell’indennizzo è adeguato?
Quando si ha la necessità di chiedere un risarcimento da parte di un’assicurazione è utile rivolgersi ad un avvocato specializzato in questa particolare materia per conoscere l’iter più corretto da seguire, per ottenere ciò che è dovuto.
Solo un legale esperto può infatti fare chiarezza, evidenziando opportunamente i diritti dell’assicurato e i doveri dell’assicurazione.
Consulenza legale per la valutazione delle clausole assicurative
L’esperienza ci insegna che non esiste un caso uguale all’altro ed è dunque impossibile (oltre che sbagliato) generalizzare.
Quello che è certo, è che spesso la polizza “parla” chiaro: l’assicurazione liquida quindi quando sussistono tutti i parametri per farlo, così come definiti nel contratto.
Ci sono quindi situazioni in cui l’assicurazione è legalmente autorizzata a rifiutare il risarcimento. Altre, invece, in cui la perizia di un avvocato esperto nel trattare questo tipo di problematiche, può aiutare ad identificare quell’elemento contrattuale su cui poter agire per ottenere quanto dovuto.
Usufruire dell’assistenza di un consulente legale specializzato per la richiesta di risarcimento ad un’assicurazione ha diversi vantaggi:
l’avvocato sa consigliare l’iter da seguire per rendere fluida la pratica di risarcimento;
l’avvocato legge e analizza con cognizione di causa la polizza assicurativa;
l’avvocato, con l’avvallo di uno specialista in campo medico o di un perito tecnico per i danni alle cose, può essere d’aiuto al fine di avere una valutazione oggettiva del danno, indipendentemente da quanto stabilito dall’assicurazione;
l’avvocato può suggerire azioni alternative (come rivalersi su altre entità responsabili) anche quando l’assicurazione non paga per giusta motivazione.
Richiesta di rimborso all’assicurazione per lesioni fisiche: cosa può fare un avvocato esperto
Quando si subisce un danno, si è vittima di un incidente o di un infortunio, è sempre opportuno rivolgersi ad un consulente legale specializzato per presentare la richiesta di risarcimento con la dovuta attenzione, avvalendosi così della giusta competenza.
Per ottenere un rimborso, infatti, è necessario seguire una precisa procedura ed esibire una documentazione completa, nei tempi previsti dalla legge.
Il cliente, infatti, dovrà essere in grado di dimostrare la consequenzialità tra incidente, danno subito e necessità di sottoporsi a terapie per curare le lesioni patite.
Il nostro studio legale di Torino, collabora costantemente con medici specializzati e fidati per assistere il cliente al meglio:
indirizzando il cliente verso studi medici e periti specializzati, la cui competenza è comprovata da anni di collaborazione
ci confrontiamo direttamente con il medico specialista per ottenere tutte le informazioni utili a costruire una strategia atta a difendere i diritti dell’assistito
la stretta cooperazione ci consente di velocizzare il passaggio e l’acquisizione dei documenti necessari
Occorre inoltre tenere conto che l’importo del risarcimento è influenzato dall’iter di guarigione. Anche questo elemento va dunque seguito con l’attenzione e la competenza che solo un legale esperto in questa materia può garantire.
Per affrontare una così vasta materia, cercando la dovuta sintesi, possiamo utilizzare tre procedimenti legali con cui può essere affrontata una richiesta di risarcimento danni:
Negoziazione assistita
Obbligatoria per i risarcimenti conseguenza di sinistri stradali. Si tratta di un rito che segue la fase stragiudiziale, con il quale gli avvocati delle parti interessate tentano di raggiungere una risoluzione senza adire le vie giudiziali.
Dalla notifica inviata tramite raccomandata o mezzo posta elettronica certificata, la controparte ha 30 giorni di tempo per riscontrare. In caso di mancata risposta o di riscontro negativo, si procede con la causa civile.
Mediazione civile
La mediazione civile prevede che le parti si incontrino alla presenza di un mediatore, ciascuna assistita dal proprio avvocato, per trovare un accordo.
In caso di esito negativo si potrà procedere con una causa civile in tribunale o di fronte a un giudice di pace a seconda del valore della causa stessa. In caso di esito positivo, quanto sancito nel verbale, ha titolo esecutivo, ovvero lo stesso valore che ha una sentenza emessa dal Giudice.
Arbitrato
Può essere previsto in un contratto assicurativo: le parti devono scegliere un arbitro che ha il compito di risolvere la controversia prima di poter incardinare un giudizio nanti le competenti Autorità Giudiziali.
Come ottenere il massimo da una richiesta di risarcimento all’assicurazione
Come abbiamo visto, l’esito di una richiesta di risarcimento alla propria assicurazione non è sempre scontato. L’assicurazione può, a ragione o a torto, negare il rimborso oppure offrire un risarcimento apparentemente inadeguato.
La consulenza di un avvocato specializzato aiuta a capire dove sta la ragione. Inoltre, anche in caso di mancato diritto da parte dell’assicurato, può contribuire a trovare una soluzione alternativa per ottenere il meglio dalla specifica situazione.
Un avvocato specializzato è un valore aggiunto in ogni fase della richiesta di rimborso, dalla constatazione del danno subito fino all’erogazione del risarcimento più adeguato.
L’esperienza specifica nella materia contribuisce inoltre, ad arrivare prima a una soluzione soddisfacente, anche pacificamente e senza la necessità di avventurarsi in lunghe cause civili che possono avere una durata di diversi anni oltre che dall’esito tutt’altro che certo.
Questi i motivi per i quali è importante avvalersi dell’assistenza legale, in funzione delle proprie necessità, di un avvocato specializzato in responsabilità civile e medica o di un avvocato specializzato in infortuni sul lavoro.
Avv. Nicola Spinoso
Responsabilità civile e medica
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza - Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2015.

Mancata diagnosi, operazione con esito negativo, terapie errate. Il disservizio sanitario e i casi di malasanità possono peggiorare le condizioni dei pazienti e creare danni di grave entità. Il tema...
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delle richieste di risarcimento danni a fronte di un errore medico evidenzia come non sempre ciò che al paziente sembra una giusta causa per ottenere un risarcimento si rivela essere un caso con tutti i fondamenti legali per procedere.
È proprio in questi casi che la consulenza di un avvocato (e di un medico legale che in casi come questi collabora con lo studio legale) è fondamentale per evitare perdite di tempo e di denaro.
L’analisi di alcuni casi concreti aiuta a comprendere meglio le implicazioni pratiche di una materia complessa come il tema della responsabilità medica. Senza entrare nei dettagli medici, questi esempi aiutano tuttavia a comprendere i principi che regolano le leggi vigenti in materia.
CASO 1: Risarcimento danni per errata diagnosi
È il caso di un paziente affetto da psoriasi al quale è stata diagnosticata una variante della malattia da un medico specialista, che gli prescrive una specifica terapia che, purtroppo, non risolve i suoi problemi.
Dopo essersi rivolto ad un altro specialista per avere un secondo parere, scopre che la variante diagnosticata non era quella corretta e dunque che anche la terapia doveva essere cambiata.
Questa volta il paziente trova sollievo ai propri fastidi ma si rivolge a un avvocato per ottenere dal primo medico consultato un risarcimento a fronte dell’errata diagnosi.
Grazie alla consulenza di un medico legale, però, il cliente viene avvertito che quel tipo di patologia è una patologia con una forte componente psicosomatica e che, nella maggior parte dei casi, le terapie prescritte non sono risolutive ma mirano esclusivamente a ridurre i sintomi.
Secondo il medico legale, dunque, di fronte a una eventuale citazione in giudizio il medico avrebbe avuto in mano delle buone argomentazioni per potersi difendere. Avvocato e cliente hanno quindi valutato insieme possibilità e rischi di una citazione in giudizio e hanno alla fine stabilito di non procedere.
CASO 2: Imperizia e mancato rispetto delle procedure: una richiesta di risarcimento danni andata a buon fine
Il terzo caso concreto riguarda una donna che al terzo parto aveva subito dei danni a causa di una infezione provocata da una non completa espulsione della placenta.
Proprio a causa di questa infezione, la donna ha dovuto sottoporsi nei due mesi successivi al parto ad altri due interventi chirurgici. Sebbene l’ospedale sostenesse che la routine in casi come il suo prevedeva un semplice controllo visivo al termine del parto, è stato possibile dimostrare che invece in casi come questo è necessaria e prevista una ecografia di controllo.
Le procedure mediche, infatti, sono regolate da una serie di linee guida: norme comportamentali che i medici sono tenuti a rispettare nell’esercizio della loro professione.
In questo caso, sia il danno biologico sia l’errore medico sono documentati e dimostrabili e proprio per questo è stato possibile agire attraverso una causa civile: l’ospedale è stato condannato a pagare un risarcimento per la donna oltre che le spese legali da lei sostenute.
CASO 3: Risarcimento per danno biologico e mancata diagnosi
È il caso di un incidente domestico: preparando la cena un uomo si ferisce a un dito con un coltello da cucina. Al pronto soccorso la diagnosi è di una ferita superficiale, lo medicano e dimettono.
Passato del tempo, l’uomo fatica a riprendere funzionalità al dito e decide di chiedere il parere di uno specialista, che gli diagnostica una lesione del tendine e consiglia una immediata operazione.
Al termine dell’intervento, l’uomo riesce a riprendere in parte, ma non completamente, la funzionalità del dito lesionato. Convinto che se l’intervento fosse stato più tempestivo la ripresa della funzionalità del dito sarebbe stata completa, l’uomo si rivolge a un avvocato con l’intento di fare causa ai medici del pronto soccorso.
Anche in questo caso, l’avvocato chiede un consulto a un medico legale, che stabilisce che, purtroppo, nel caso di una lesione al legamento come quella riportata dal paziente la ripresa della funzionalità non avrebbe potuto essere al 100% anche se l’intervento fosse stato eseguito immediatamente.
In questo caso, la consulenza dell’avvocato e del medico legale che collaborava con lo studio legale si rivela così fondamentale per decidere di non avviare una causa inutile e per evitare il rischio di dover pagare anche le spese legali della controparte.
Hai bisogno di una consulenza per un errore medico che senti di aver subito?
Avv. Nicola Spinoso
Responsabilità civile e medica
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza - Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2015.

Innovazione e unicità sono la forza di qualsiasi impresa. L’ordinamento giuridico italiano contempla una serie di norme relative ai diritti di proprietà...
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Innovazione e unicità sono la forza di qualsiasi impresa.
L’ordinamento giuridico italiano contempla una serie di norme relative ai diritti di proprietà industriale per tutelare il monopolio d’utilizzo delle proprie invenzioni o creazioni.
Chi ha diritto di depositare un brevetto e registrare un marchio per tutelare la proprietà industriale
L’art. 1 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, conosciuto anche come “Codice della Proprietà industriale” recita: “La proprietà industriale comprende marchi e altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali.”
Questi diritti si acquistano mediante brevettazione (per invenzioni, nuove varietà vegetali, modelli di utilità), registrazione (per marchi, topografie dei prodotti a semiconduttori, disegni e modelli) o negli altri modi previsti dal Codice (per informazioni aziendali riservate, segreti commerciali e altro ancora).
Sono tre gli uffici competenti:
Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM)
European Union Intellectual Property Office (EUIPO)
Ufficio Brevetti Europeo (UEB)
Per depositare un brevetto e registrare un marchio è necessario rispettare determinati requisiti; solo la consulenza di un avvocato specializzato in proprietà industriale e intellettuale assicura un’accurata verifica del rispetto dei requisiti del marchio e consente di seguire la procedura più adatta a garantire il successo della domanda e la tutela dei propri diritti.
Il segreto industriale in azienda: cos’è e come si protegge la proprietà intellettuale
Il segreto industriale si riferisce alle attività intellettuali aziendali, vale a dire tutti quei beni immateriali quali creazioni e invenzioni frutto dell’ingegno umano, nonché alle informazioni relative all’attività produttiva o organizzativa di un’impresa, che necessitano di assoluta riservatezza.
Il segreto industriale è disciplinato dagli artt. 98 e 99 del Codice della Proprietà Industriale e i diritti relativi possono essere fatti valere in sede giudiziaria con l’assistenza di un avvocato esperto in proprietà industriale e proprietà intellettuale.
A cosa serve il patto di riservatezza (Non Disclosure Agreement – NDI)
Il Non Disclosure Agreement (NDI) o Accordo di Riservatezza è uno degli strumenti più utilizzati per la tutela della proprietà industriale e intellettuale.
Si tratta di un contratto che limita l’uso di informazioni strategiche a un preciso scopo, vieta espressamente lo sfruttamento e la divulgazione di tali dati per scopi diversi da quello stabilito.
È conosciuto anche come patto di segretezza, accordo di riservatezza o patto di non divulgazione. La sua violazione può avere implicazioni sia civili sia penali, inoltre può comportare l’applicazione di sanzioni pecuniarie ed il risarcimento del danno.
Una consulenza legale specializzata per la tutela della proprietà industriale è quindi fondamentale per rendere l’accordo di riservatezza inoppugnabile.
Bisogna porre molta attenzione su questo aspetto perché, i modelli di Non Disclosure Agreement reperibili online, non garantiscono una solida protezione.
La consulenza legale specializzata in tutela della proprietà industriale, fa la differenza in caso di mancato rispetto del Codice della proprietà industriale e di tutte le normative, anche internazionali, che regolano brevetti, marchi, denominazioni di origine, disegni, informazioni aziendali riservate.
Codice della Proprietà industriale: lo strumento giuridico per proteggere innovazioni e unicità delle imprese
La legge italiana e internazionale riconosce pienamente il diritto delle aziende di tutelare innovazioni, informazioni, unicità e invenzioni.
Ecco perché un consulente legale specializzato nella tutela della proprietà industriale può svolgere un ruolo fondamentale per le aziende nel:
tutelarsi contro gli abusi da parte di terzi per l’utilizzo illegittimo dei propri diritti di esclusiva
prevenire la diffusione non autorizzata dei segreti industriali tramite la stesura di contratti oculati e inoppugnabili
far valere il diritto di riservatezza di informazioni di natura tecnico-industriale, organizzativa, commerciale e procedurale di un’impresa
consentire all’azienda di procedere con passo sicuro sul mercato, traendo il meglio dalla propria capacità innovativa
In virtù di questo, per il deposito di un brevetto, la registrazione di un marchio e per individuare lo strumento più adeguato per la protezione della proprietà industriale e intellettuale, è necessario avvalersi della collaborazione di un avvocato specializzato nella tutela della proprietà industriale.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

Il passaggio generazionale in azienda è un tema molto delicato e complesso che in Italia interessa circa l’85% di piccole e medie imprese a gestione familiare. La strategia adottata nel momento in...
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cui i figli dovranno assumere le redini della gestione aziendale assicurerà continuità e stabilità all’impresa;
è quindi essenziale che l’imprenditore a capo dell’impresa di famiglia organizzi l’asset societario per rendere il più fluido possibile il passaggio del testimone.
Qual è il miglior modo per gestire il passaggio generazionale e quali sono gli strumenti giuridici che la legge mette a disposizione?
Cosa si intende per passaggio generazionale dell’azienda di famiglia
Con “passaggio generazionale” ci si riferisce al momento in cui una generazione di imprenditori lascia il posto alla generazione successiva, la quale subentra nella gestione dell’impresa.
La legge in materia di successioni ereditarie stabilisce che una quota di eredità sia intangibile e spetti legittimamente ai parenti più stretti: coniuge, figli e in alcuni casi i genitori.
Come si suddividono le quote di legittima e come influenzano il passaggio generazionale dell’impresa a gestione familiare
Anche in presenza di un testamento, una porzione di eredità rimane “indisponibile” (il testatore non ne può disporre), ma è riservata agli eredi legittimi secondo una quota prefissata che viene definita: “quota di legittima“, che varia a seconda del numero di figli, della presenza o meno di un coniuge e, eventualmente, della presenza o meno di ascendenti (genitori).
Cos’è e cosa prevede il patto di famiglia nel passaggio generazionale dell’azienda
Il patto di famiglia è l’unica deroga prevista dalla legge per regolare anticipatamente le successioni e consente di determinare con anticipo come verrà suddivisa l’azienda nel momento del decesso dell’imprenditore, senza ledere i diritti dei singoli eredi.
Il vincolo inderogabile per procedere con il patto di famiglia è, dunque, il consenso di tutti gli eredi legittimi.
La stipula del contratto rende la successione non impugnabile su tale punto dopo la morte del capostipite.
Quali sono le condizioni che rendono valido un patto di famiglia
Il patto di famiglia è uno strumento giuridico disciplinato dall’art. 768-bis del Codice Civile, norma introdotta nel 2006 proprio allo scopo di agevolare le imprese familiari nelle operazioni di passaggio generazionale di un’azienda.
Ci sono alcune condizioni da rispettare affinché il patto di famiglia risulti valido e sia dunque uno strumento utile per un fluido ed efficace passaggio generazionale.
Ogni situazione, società, inquadramento giuridico dell’azienda necessita di operare in modi diversi e specifici per ciascun caso.
L’elaborazione delle più adeguate soluzioni sulla base della specifica situazione e dei desiderata dell’imprenditore, può essere infatti fornita solo da un consulente legale esperto in passaggi generazionali d’impresa.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

Avv. Daniela Pavone | Privati
L’evoluzione della società ha dato origine a molteplici modelli familiari. Molte sono le coppie che, unite da un legame affettivo, decidono di vivere sotto lo stesso tetto o che vivono insieme già...
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da tempo.
Cosa dice la Legge Cirinnà
La “Legge Cirinnà” (Legge 20/05/2016 n.76) risponde all’esigenza di tutelare i diritti delle coppie che convivono, ampliando il concetto di famiglia e di unione familiare, non fondata sul matrimonio.
La Legge n. 76/2016 ha infatti regolamentato la Convivenza di fatto, sia per le coppie eterosessuali che per i partner dello stesso sesso. Ha inoltre introdotto le unioni civili per le persone dello stesso sesso.
Due persone che decidono di creare un progetto di vita in comune possono dunque farlo anche senza contrarre matrimonio o siglare una unione civile. Si tratta in questi casi di convivenza di fatto, detta anche “Convivenza More Uxorio”.
Sono di fatto considerate conviventi due persone maggiorenni unite da legami di coppia affettivi stabili caratterizzati da reciproca assistenza morale e materiale, ma non legate da rapporti di parentela, affinità o adozione, né da matrimonio o unione civile.
Nonostante siano molte le coppie che scelgono di vivere insieme, in Italia la convivenza di fatto rappresenta un istituto ancora poco noto.
Vediamo quali sono gli aspetti principali introdotti dalla Legge n. 76/2016.
Come si formalizza la Convivenza di fatto
Per rendere ufficiale la convivenza di fatto, è necessario che i partner comunichino di coabitare nello stesso luogo tramite un’autocertificazione in carta libera presentata all’ufficio anagrafe del Comune di residenza.
Si tratta di un documento con il quale i due partner formalizzano la loro unione. Il Comune, dopo gli opportuni accertamenti, rilascia il certificato di residenza e lo stato di famiglia.
Quali diritti sono tutelati con la Convivenza di fatto
Quando viene formalizzata, la convivenza di fatto tra due persone pone in essere un nucleo familiare e attribuisce ai due partner una serie di diritti a loro tutela.
In caso di malattia
Ad esempio, in caso di malattia e di ricovero ospedaliero, i conviventi hanno diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali secondo le regole già esistenti per i coniugi e i familiari.
Ogni convivente ha inoltre la facoltà di nominare l’altro come suo rappresentante, conferendogli poteri pieni o limitati per prendere decisioni in materia di salute. Questo è valido in situazioni in cui uno dei conviventi è malato e non è in grado di prendere decisioni per sé stesso a causa di incapacità di intendere e volere, o in caso di morte. Il rappresentante designato ha l’autorità per prendere decisioni riguardanti la donazione degli organi, le modalità di trattamento del corpo e le cerimonie funerarie.
Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o versi in condizione di incapacità e quindi risulti beneficiario dell’amministrazione di sostegno.
Sono attribuiti all’altro gli stessi diritti previsti dall’ordinamento penitenziario in favore del coniuge anche in caso di reclusione di uno dei due conviventi, ad esempio il diritto di far visita al partner in carcere, permessi premio e colloqui.
Considerando i diritti del convivente nell’attività di impresa, quando il convivente lavora stabilmente nell’impresa del partner ha diritto di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa, nonché alle decisioni su beni e strumenti e alle scelte per lo sviluppo della stessa. Questi diritti sono stabiliti in proporzione alla tipologia del lavoro prestato.
In caso di decesso del partner derivante da fatto illecito di un terzo (per esempio, a seguito di un incidente stradale), il diritto al risarcimento del danno spetta al convivente superstite. A lui o lei è infatti riconosciuto il danno parentale, sia morale che materiale, secondo gli stessi criteri e parametri applicati per il risarcimento al coniuge superstite in ambito matrimoniale.
Ai conviventi di fatto, sono anche riconosciuti una serie di diritti per tutelare le esigenze abitative. In particolare, possiamo citare:
in caso di convivenza in locali di proprietà di terzi, si ha facoltà di subentrare nel contratto di locazione della casa, comune conservandone gli stessi diritti, a seguito di morte o recesso dal contratto di locazione del convivente che ne era titolare;
in caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il convivente superstite può restare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza (se superiore a due anni) e non oltre i cinque anni.
Tale diritto decade se il convivente superstite decide di non vivere più stabilmente nella casa comune, oppure inizia una nuova convivenza di fatto, si sposa o si unisce civilmente con un soggetto terzo;
i conviventi di fatto hanno diritto di inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, in quanto beneficiano dell’appartenenza al nucleo familiare.
Infine, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il convivente che non è in grado di far fronte alle proprie esigenze o si trova in difficoltà economica tale da non poter provvedere al proprio sostentamento può avere diritto all’assegno alimentare (da non confondere con l’assegno di mantenimento) dall’ex partner.
Qualora uno dei due partner perda il lavoro, è possibile definire diritti e doveri dei conviventi.
È possibile regolare i criteri e le modalità di contribuzione da parte di ciascun partner alle esigenze della vita comune e definire gli accordi per fine rapporto, in caso di scioglimento della convivenza.
Il contratto di convivenza si estingue sopravvenuto matrimonio o unione civile oppure per morte di uno dei due partner.
Il contratto può anche essere risolto sia per accordo tra le parti, sia per recesso unilaterale. In questo ultimo caso, se il recedente è anche proprietario esclusivo della casa in cui la coppia ha fino ad allora convissuto, la legge prevede che, contestualmente alla notificazione del recesso, sia concesso al partner un termine non inferiore a 90 giorni per allontanarsi dall’abitazione.
Se è stato scelto il regime della comunione dei beni, con la risoluzione del contratto di convivenza, la comunione si scioglie e si dovrà procedere alla suddivisione dei beni comuni, analogamente a quanto avviene in caso di separazione di una coppia sposata.
Un avvocato specializzato in Diritto di Famiglia può assistere le coppie che, prima o durante la loro convivenza, vogliono regolare alcuni aspetti delicati e fondamentali della loro vita quali la scelta del regime patrimoniale, le modalità di contribuzione alla vita comune ed ai bisogni della coppia.
In particolare, la consulenza di un avvocato specializzato nella Convivenza di Fatto, risulta particolarmente importante soprattutto per:
fornire un quadro chiaro ed esaustivo sulle opzioni percorribili;
scegliere la soluzione migliore nell’interesse della coppia e per prevenire qualsiasi problematica;
valutare attentamente cosa accade se si è divorziati;
cosa accade se si lavora insieme;
comprendere a fondo tutti gli aspetti successori ed ereditati;
ricevere assistenza per la definizione, la redazione, la stipula e il deposito del contratto di convivenza;
avere un supporto adeguato in caso di rottura della coppia e della convivenza.
Dalla lettura emergono chiaramente le motivazioni per le quali è importante valutare la definizione di un contratto di convivenza, avvalendosi dell’assistenza di un avvocato specializzato in questa specifica materia.
Avv. Daniela Pavone
Diritto di Famiglia e Successioni
Laureata in Giurisprudenza presso – Università degli Studi di Torino – Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino – Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2008. Master breve in Diritto di Famiglia e Minorile presso A.I.D.I.F – Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie di Torino.

Sottovalutare l’importanza dello studio e dell’analisi delle leggi che regolano il mercato in cui opera l’impresa è uno degli errori più gravi che un imprenditore può commettere quando avvia...
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un’attività o gestisce una PMI.
Avviare e gestire un’azienda è un’attività complessa, gli aspetti da valutare sono molteplici: economico, finanziario e giuridico.
Se la consulenza di un commercialista è necessaria per porre le basi dal punto amministrativo e fiscale, è altrettanto fondamentale l’assistenza da parte di un avvocato esperto in diritto societario.
La solidità di una PMI, infatti, si basa anche sull’accuratezza con cui vengono vagliati tutti gli aspetti legali prima e durante la fase di start up. Il compito di un avvocato specializzato in diritto societario e in diritto commerciale è quindi quello di supportare e aiutare l’imprenditore nel prevenire problematiche relative, ad esempio, ai rapporti con i soci, all’acquisizione o alla cessione di quote, alla tenuta della struttura societaria.
Quali sono le normative che regolano l’apertura di un’azienda
L’esercizio delle attività imprenditoriali è disciplinato da due settori del diritto: il diritto societario e il diritto commerciale. Si tratta di un insieme di norme, leggi, sentenze e precedenti che regolano i comportamenti che ogni imprenditore o impresa dovrebbe tenere.
Tutti aspetti che può gestire al meglio un avvocato specializzato in contrattualistica e diritto d’impresa, il miglior alleato per gli imprenditori che desiderano procedere con passo sicuro sul mercato, avendo la certezza di agire sempre nel rispetto delle leggi ma anche avendo ben chiaro tutto ciò che di positivo le vigenti normative possono loro offrire e garantire.
Su cosa è necessario richiedere una consulenza legale prima dell’apertura o nella fase di start up di un’impresa
Come abbiamo visto, gli ambiti di applicazione delle leggi che regolano l’esercizio dell’impresa sono moltissimi, dalla scelta del tipo di società fino alla stesura dei contratti che meglio tutelano l’azienda.
Il raggio d’azione di un consulente legale può comunque essere suddiviso in due macro aree, relative alle criticità che gli imprenditori si trovano più spesso ad affrontare: la Consulenza legale in diritto societario e la Consulenza legale in diritto commerciale.
Perché avvalersi di una consulenza legale per l’avvio di una società e per l’elaborazione dei contratti commerciali
Il contratto è la miglior forma di tutela per l’imprenditore e per l’azienda: ogni imprenditore dovrebbe richiedere la consulenza di un avvocato specializzato in diritto commerciale per la stesura di qualsiasi elemento contrattuale: statuto, scritture private, contratti clienti e fornitori, preliminari, lettere di intenti, ecc.
Un avvocato specializzato in diritto societario e commerciale, assiste le piccole e medie imprese sin dalla fase di apertura, al fine di evitare problematiche legali che rendano complicato o insostenibile il rapporto con soci, fornitori o clienti.
Grazie ad una consulenza legale attenta ed efficace infatti è possibile mettere in atto le migliori soluzioni per tutelare l’impresa e svolgere le attività a norma di legge.
Cosa fa un consulente legale specializzato in diritto societario e commerciale
Tra i principali aspetti su cui si focalizza l’attività di un avvocato esperto nell’assistere imprenditori nella fase della nascita delle loro imprese possiamo sicuramente citare:
analisi dei contratti che regolano la società al suo interno al fine di mantenere un rapporto equilibrato fra i soci
redazione dello statuto societario e dei patti parasociali, ovvero gli accordi interni tra i soci in merito alla struttura e alla regolamentazione della società
prevenzione di dispute e contenziosi tra soci e amministratori
elaborazione di contratti di acquisizione o cessione relativi alle partecipazioni sociali
analisi e redazione di tutti i contratti commerciali (tra cui, oltre a quanto già citato, anche forniture, affitto di ramo d’azienda e locazioni finanziarie, appalto, sponsorizzazioni, ecc.)
Un consulente legale esperto in diritto societario e commerciale è dunque un supporto fondamentale per l’imprenditore, perché gli fornisce quell’assistenza necessaria a definire la miglior struttura ed a pianificare quanto necessario per una gestione dell’azienda che sia corretta, sicura e conveniente.
Come avviare un’impresa evitando inutili rischi
La nostra consulenza legale si basa su un approccio volto alla prevenzione dei rischi anziché alla risoluzione dei problemi.
Spesso gli imprenditori che vogliono avviare una società si rivolgono subito ad un commercialista, poi ad un notaio e solo successivamente ad un avvocato, ma è opportuno affidarsi ad un’azione congiunta di queste tre professionalità: il consulente legale dovrebbe essere il trait d’union tra commercialista e notaio.
Ecco perché per la nascita e la tutela di un’impresa, è importante, oltre che necessario, avvalersi della collaborazione di un avvocato specializzato in diritto societario e commerciale.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.

Base giuridica dell’attività commerciale di un’azienda, i contratti tutelano gli interessi dell’impresa, allo scopo di evitare problematiche legali, ostacoli al recupero crediti o il rischio di...
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Base giuridica dell’attività commerciale di un’azienda, i contratti tutelano gli interessi dell’impresa, allo scopo di evitare problematiche legali, ostacoli al recupero crediti o il rischio di contenziosi.
Specializzato nella stesura di contratti ad hoc, l’avvocato contrattualista è il professionista a cui le aziende fanno riferimento per proteggere e garantire la salvaguardia della propria attività, che interviene anche per revisionare l’efficacia di un contratto, valutando l’effettiva esistenza e la validità degli obblighi. Per predisporre in modo ottimale un contratto commerciale è importante comprendere l’ambito di competenza e le specifiche esigenze di ogni differente impresa.
L’importanza dell’avvocato contrattualista per le PMI
Il mondo delle imprese è una realtà complessa e in continua evoluzione: nuovi provvedimenti legislativi introducono regolarmente nuovi vincoli e obblighi a cui le aziende devono attenersi.
A questi si aggiungono i problemi nei rapporti con i dipendenti, con i fornitori, con i clienti e con le banche.
L’assistenza legale, non solo qualificata ma anche continuativa, aiuta le imprese a conformarsi ai cambiamenti del quadro normativo, risolvere problemi legali, evitare rischi, trovare soluzioni sempre efficaci, in modo da prevenire qualsiasi problematica inerente agli adempimenti, ai rapporti di collaborazione e partnership, agli incassi e ai pagamenti, così contribuendo a sviluppare l’attività in modo stabile ed efficiente, migliorandone l’operatività e la redditività.
La contrattualistica d’impresa, la consulenza professionale dell’avvocato contrattualista è quindi importante per:
affiancare le PMI nella fase delle trattative e nelle attività di negoziazione, sia con le controparti che con i partner commerciali dell’impresa;
individuare la tipologia contrattuale più adatta alle esigenze dell’impresa, con una analisi e una valutazione preventiva, non solo dei rischi ma anche delle potenzialità e/o delle opportunità;
revisionare i contratti ogni qualvolta vi siano novità normative e/o giurisprudenziali;
redigere i moduli contrattuali utilizzati con clienti, fornitori, partner e collaboratori in modo da renderli conformi alle varie normative applicabili e anche, anzi soprattutto, funzionali alle esigenze organizzative e di business;
gestire e risolvere le problematiche giuridiche legate ai vari aspetti dell’attività imprenditoriale (come problemi di concorrenza sleale, rapporti di lavoro o questioni societarie);
ricevere assistenza nella fase dello scioglimento di un contratto, quando avviene per cause diverse dalla naturale scadenza (come in caso di recesso o risoluzione);
gestione efficace e tempestiva del recupero crediti
Le tipologie di contratto più utilizzate in azienda
Il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, come definito dall’articolo 1321 del Codice Civile.
La legge prevede una pluralità di contratti tipici, espressamente previsti dal Codice Civile, come ad esempio i contratti di vendita, locazione e comodato.
I contratti atipici, invece, sono regolati dalle sole norme generali del contratto ed eventualmente da quanto stabilito, in accordo tra le parti, come leasing, merchandising, engineering, contratti di pubblicità.
Il compito dell’avvocato contrattualista è quello di studiare ed analizzare il caso concreto, partendo dal problema posto dall’impresa per capire le sue necessità e proporgli la soluzione più idonea.
L’avvocato contrattualista assiste le PMI nella redazione di tutti i contratti commerciali tra cui:
Vendita di prodotti
Fornitura di servizi
Locazione commerciale
Comodato
Affitto d’azienda
Mandato e Agenzia
Subfornitura industriale
Appalto e subappalto privato
Contratto d’opera
Outsourcing
Deposito
Trasporto
Partnership, Joint venture, accordi di cooperazione, associazione in partecipazione
Engineering
Somministrazione
Cessione e licenza di marchi e brevetti
Cessioni di credito
Leasing, Factoring
Pubblicità, Sponsorizzazione, Merchandising
Contratti infragruppo
Al contrario, in assenza di adeguata tutela contrattuale, si corre il rischio di non poter far valere i propri diritti, non poter chiedere un danno né un congruo risarcimento a fronte di un’ingiustizia subita.
Avere quindi degli elementi di forza derivanti da un contratto ben strutturato è essenziale per eliminare o quantomeno ridurre i potenziali contenziosi e per far valere i propri diritti quando la controparte è inadempiente.
In virtù di tutto questo, per lo sviluppo e la tutela del proprio business, qualsiasi Imprenditore che guida una PMI dovrebbe oggi avvalersi di una collaborazione mirata e continuativa con un avvocato contrattualista specializzato.
Avv. Alessandro Vallino
Diritto commerciale, societario e d'impresa
Laureato in Giurisprudenza presso Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino - Conseguimento del titolo di avvocato presso Corte d’Appello di Torino - Iscrizione all’ordine degli avvocati di Torino dal 2013. Master universitario post laurea in Diritto Bancario e Finanziario presso l’Università Unicusano in Roma. Formazione per arbitro presso la Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Torino.




